DIPARTIMENTO DI BIOCHIMICA "G. MORUZZI"

Progetto: "Ricerca e didattica in Dipartimento: l'informazione quale strumento per l'incentivazione della sicurezza"

"Rischio biologico"

Scheda tematica a cura di PATRIZIA SERRATORE

  


IL LABORATORIO DI MICROBIOLOGIA

CAMPO DI APPLICAZIONE E SICUREZZA

1. CAMPO DI APPLICAZIONE

I microrganismi sono esseri viventi di dimensioni talmente piccole da poter essere visti unicamente con l’ausilio del microscopio ottico od elettronico.

I microrganismi sono diffusi ovunque nell’aria, nell’acqua e nel suolo, sulla superficie delle piante, sulla cute e nel tratto intestinale degli animali e svolgono un ruolo fondamentale nell’ecosistema contribuendo alla fertilità dei suoli, alla vitalità delle piante e degli animali e più in generale al ciclo della materia.

In pratica qualunque substrato in cui siano presenti materiale organico ed acqua, alle opportune temperature può consentire la moltiplicazione di microrganismi.

Le colture microbiche sono arricchimenti dell’ordine di miliardi degli individui originariamente presenti in una matrice in quanto le procedure identificative classiche prevedono l’osservazione del comportamento in vitro dei microrganismi, cioè l’allestimento di sistemi atti a promuoverne la crescita al fine di magnificarne l’adattabilità a condizioni predeterminate nonché l’attività biochimica specifica su diversi substrati.

Questo si ottiene operando con colture monospecifiche, anche se alcune procedure prevedono l’identificazione di gruppi funzionali, come nel caso dei c.d. coliformi, indicatori di inquinamento fecale.

Le colture che non rispondono a requisiti di purezza, cioè che presentano contaminazioni indesiderate, forniscono risultati che dipendono ovviamente dalla crescita concomitante di microrganismi diversi. Le conseguenze di ciò possono essere estremamente fuorviante ai fini interpretativi.

In generale si può dire che l’osservanza delle procedure che garantiscono il pieno controllo delle crescite microbiche in laboratorio ha duplice valenza: assicurare idonee condizioni di lavoro agli operatori ed affidabilità nei risultati.

 

2. SICUREZZA IN LABORATORIO

A dispetto dell’attenzione con cui negli ultimi anni sono state studiate le infezioni acquisite da personale dei laboratori e della produzione di copioso materiale informativo e di codici di comportamento sul lavoro, queste infezioni si realizzano ancora con preoccupante frequenza e probabilmente i casi risultanti rappresentano un dato sottodimensionato rispetto alla realtà perché molti non vengono opportunamente denunciati.

Considerato che i microrganismi, quantunque notoriamente ubiquitari, sono purtroppo invisibili ad occhio nudo, non può essere escluso un elemento psicologico nella mancanza di cautele e di costante vigilanza sull’osservanza dei protocolli di sicurezza.

Ecco perché è bene porre grande cura nella sensibilizzazione del personale e nella predisposizione di verifiche sulla congruità dei sistemi di protezione adottati in un laboratorio, nonché sull’osservanza da parte di tutti i fruitori delle regole di base utili ad una efficace prevenzione.

In sostanza si tratta di puntualizzare alcune questioni:

  1. la pericolosità potenziale delle matrici oggetto di analisi e degli organismi coltivati selettivamente

  2. i metodi corretti per "contenere" questi organismi in modo che non abbiano accesso alle vie di penetrazione naturali o comunque possibili in laboratorio.

 

2.1 Vie d’infezione

La vie di penetrazione naturali degli agenti infettivi sono: la bocca (ingestione), le narici (inalazione), la pelle (iniezione), gli occhi.

Le infezioni acquisite in laboratorio possono mostrare vie di penetrazione peculiari e si realizzano con dosi generalmente superiori, pertanto la sintomatologia può anche differire da quella delle infezioni naturali.

L’ingestione si realizza prevalentemente con l’aspirazione di sospensioni settiche attraverso la pipetta o portando alla bocca cibo, sigarette, penne da scrivere contaminate da gocce o schizzi prodotti durante il lavoro.

L’inalazione di particelle settiche con l’aerosol può realizzarsi durante molte delle comuni manipolazioni di laboratorio, pertanto questa via di penetrazione risulta quella maggiormente in causa nell’epidemiologia professionale di settore. E’ bene sottolineare che l’aerosol settico concorre più di ogni altro alla contaminazione dei laboratori, potendosi formare in molte fasi del lavoro quali l’uso delle anse di semina e delle pipette, della centrifuga, la preparazione di omogenati, l’apertura di provette e piastre di coltura.

L’iniezione si realizza per infissione accidentale nella cute di aghi ipodermici, pipette Pasteur, vetreria rotta infetta. Ruolo non secondario hanno anche tagli, ferite o abrasioni presenti sulla cute degli operatori e non opportunamente protetti.

Schizzi di materiale settico possono colpire gli occhi e questa via di penetrazione risulta piuttosto frequente.

 

2.2 Il rischio biologico

Il rischio biologico è un rischio professionale connesso alla possibilità di contrarre malattie da causa biologica, in particolare da batterici, miceti, virus, parassiti presenti nel materiale da analizzare e/o manipolati impropriamente.

 

RISCHIO

BASSO ELEVATO

 

 

 

 

 

USPHS

Classe 1

Classe 2

Classe 3

Classe 4

(1974)

- nessuno

-potenziale ordinario

-individuale speciale

-individuale elevato

 

o minimo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

WHO

Rischio Gruppo 1

Rischio Gruppo 2

Rischio Gruppo 3

Rischio Gruppo 4

(1979)

-individuale basso

-individuale moderato

-individuale elevato

-individuale elevato

 

-collettivo basso

- collettivo basso

- collettivo basso

-collettivo elevato

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ACDP

Rischio Gruppo 1

Rischio Gruppo 2

Rischio Gruppo 3

Rischio Gruppo 4

(1990)

- improbabile causa di malattia umana

-individuale probabile

- individuale pericoloso

- individuale molto pericoloso

 

 

- collettivo improbabile

- collettivo probabile

- collettivo altamente probabile

Tabella 1. Classificazione dei microrganismi sulla base del rischio biologico.USPHS (US Public

Health Service).WHO (World Health Organisation).ACDP (UK Advisory Committee on

Dangerous Pathogens).

 

Il rischio biologico si pone pertanto ogniqualvolta viene favorito il contatto tra un agente biologico di malattia ed un ospite. E’ diretto per gli utilizzatori del laboratorio di microbiologia ed indiretto per tutti coloro che possono venire in contatto con i rifiuti prodotti nel laboratorio stesso.

Le diverse classi di rischio vengono definite sulla base dello studio dei processi infettivi acquisiti dagli utilizzatori di laboratori di microbiologia, o diffusi dai laboratori nella comunità, generalmente secondo un ordine crescente di pericolosità.

Le classificazioni maggiormente utilizzate sono riportate in tabella 1.

In relazione al livello di rischio accertato, i laboratori possono a loro volta essere classificati, secondo il WHO in tre categorie:

Dipendentemente dalla collocazione nelle suddette categorie, i laboratori devono possedere opportuni requisiti minimi di strumentazione e codici di comportamento.

Nei laboratori di base che operano al livello di rischio 1 è sufficiente il rispetto di quelle che il WHO definisce Good Microbiological Technique (GMT), ovvero le buone tecniche microbiologiche.

Nei laboratori di base che operano al livello di rischio 2 sono necessarie cabine di sicurezza con controllo del flusso di aria. In aggiunta alle buone pratiche di comportamento si rendono necessari indumenti protettivi e cartellonistica di rischio per le zone ristrette.

Nei laboratori di contenimento è necessario uno stretto controllo dell’accesso nonché l’uso di speciali indumenti protettivi. In quelli che operano al livello 4 si rende necessario un completo controllo anche dell’aria ambiente nonché la dotazione di docce per il personale in uscita.

3. PREVENZIONE DEL RISCHIO

La sicurezza degli utilizzatori di un laboratorio di microbiologia dipende essenzialmente dall’adeguatezza della struttura di laboratorio e dall’osservanza di corrette tecniche microbiologiche.

Il laboratorio deve risultare ben ventilato, preferibilmente grazie a condizionatori d’aria centralizzati in grado di garantire riduzione del particellato nell’aria e minimizzare le variazioni di temperatura.

Normalmente si considera adeguata una temperatura ambiente di 21°- 22°C con umidità relativa pari al 45-50%.

Il laboratorio deve essere sufficientemente illuminato sia con luce artificiale che naturale. E’ bene comunque evitare l’esposizione diretta alla luce solare di terreni, reagenti e campioni.

Gli spazi di lavoro devono essere adeguati, in particolare la zona di preparazione dei terreni di coltura e quella di lavaggio della vetreria devono essere separate dalla zona analitica ove vengono processati i campioni.

Per quanto concerne le dimensioni delle zone di lavoro, si ritiene che lo spazio minimo debba essere 1,8 m. per singolo operatore.

Inoltre risulta fondamentale la scelta dei materiali costitutivi delle superfici e degli strumenti di lavoro per l’applicazione di appropriate misure di pulizia e decontaminazione.

Le superfici di lavoro devono risultare possibilmente prive di interstizi, perfettamente livellate e costituite da materiali resistenti alla rottura oltre che compatibili con l’utilizzo del calore e di svariate sostanze chimiche.

La strumentazione meccanica deve essere tale da garantire la corretta applicazione delle procedure analitiche nonché lo smaltimento controllato dei residui.

Gli strumenti di lavoro manuale devono risultare maneggevoli e facili da collocare in contenitori di protezione. Escludendo il materiale monouso, devono essere facili da pulire e garantire la resistenza ad almeno una procedura di decontaminazione.

Complessivamente si tratta di porre in opera una serie di barriere fra gli agenti biologici e gli operatori di laboratorio nonché più in generale fra i primi e la comunità.

Si definiscono barriere primarie le tecniche e gli strumenti in grado di prevenire il contatto diretto tra microrganismi ed operatore soprattutto in termini di diffusione degli agenti biologici per aerosol.

Si definiscono barriere secondarie le tecniche e gli strumenti in grado di contenere i microrganismi in caso di superamento delle barriere primarie.

Si definiscono barriere terziarie le tecniche e gli strumenti in grado di prevenire la diffusione dei microrganismi verso la comunità in caso di superamento delle barriere primarie e secondarie.

Ciascun laboratorio dovrebbe approntare delle schede operative che formano il manuale interno delle pratiche di assicurazione-qualità per la salute in laboratorio. Queste schede devono riportare dettagliatamente le caratteristiche delle attrezzature in relazione alla resistenza ai trattamenti, l’elencazione delle operazioni di pulizia e decontaminazione che devono essere effettuate prima e dopo ciascun procedimento analitico e quelle da effettuarsi a cadenza periodica

3.1 Pulizia

I residui di sudiciume sono nicchie adatte allo sviluppo dei microrganismi e svolgono azione protettiva nei confronti degli agenti chimici neutralizzanti.

La pulizia può essere definita quale attività rivolta alla rimozione del sudiciume visibile mediante sostanze definite detergenti.

Sono detergenti i vari saponi e comunque tutte quelle sostanze che hanno proprietà emulsionanti atte a favorire l’asportazione del sudiciume assieme all’acqua.

La pulizia riguarda tanto agli operatori quanto gli ambienti e gli strumenti di lavoro del laboratorio e deve essere applicata sia prima che dopo l’esecuzione delle procedure analitiche.

Vediamo in particolare:

Þ Pulizia delle mani.

Dopo ogni fase di lavoro è opportuno il lavaggio delle mani con sapone ed acqua possibilmente tiepida. L’acqua troppo calda o troppo fredda danneggiano l’integrità dell’epidermide, naturale barriera agli agenti esterni. E’ molto importante anche proteggere eventuali ferite o traumatismi che rappresentano un locus minoris resistentie dei contaminanti microbici. Durante la manipolazione delle matrici è comunque consigliabile l’utilizzo di guanti. I più usati sono quelli di latice monouso.

Þ Pulizia delle superfici e degli strumenti di lavoro.

Al termine di ogni fase di lavoro si provvede a trattamenti inattivanti degli eventuali residui microbici (vedi decontaminazione) delle superfici che entrano in contatto diretto con le matrici oggetto di analisi microbiologica, nonché degli strumenti utilizzati. Solo successivamente si provvede all’ordinaria pulizia.

Þ Pulizia dell’intero laboratorio.

Con le opportune cadenze devono essere puliti i pavimenti e le altre superfici del laboratorio, ivi comprese quelle delle apparecchiature, per evitare fall-out indesiderati.

 

3.2 Decontaminazione

La decontaminazione può essere definita come il complesso di operazioni che vengono compiute al fine di ridurre il rischio biologico.

Più precisamente viene definita disinfezione il complesso di operazioni che implicano la distruzione delle forme vegetative dei microrganismi, mentre la sterilizzazione consiste nella distruzione dei microrganismi, comprese le forme di resistenza quali le spore.

La decontaminazione può essere ottenuta con mezzi fisici quali il calore (fiamma diretta, vapore sotto pressione, filtrazione) e le radiazioni (raggi UV, raggi g ) o con mezzi chimici detti disinfettanti o biocidi.

I disinfettanti sono di varia composizione ed agiscono in grado diverso sui microrganismi, inoltre è bene ricordare che la maggior parte di essi risultano nocivi per l’uomo per contatto, inalazione e/o ingestione.

Nella tabella 2 vengono riportati i disinfettanti più comuni con le relative caratteristiche di attività e pericolosità.

 

ATTIVITA’ CONTRO TOSSICITA’

Miceti

Batteri

Gram +

Batteri Gram -

Mycobatteri

Spore

Pelle

Occhi

Vie respiratorie

ALCOOLI

-

+++

+++

+++

+++

-

+

+

AMMONIO QUATERNARIO

+

+++

++

-

-

+

+

-

FENOLI

+++

+++

+++

++

-

+

+

-

FORMALDEIDE

+++

+++

+++

+++

+++ 1

+

+

+

GLUTARALDEIDE

+++

+++

+++

++

+++ 2

+

+

+

IODOFORI

+++

+++

+++

++

+

+

+

-

IPOCLORITO

+

+++

+++

++

-

+

+

+

Tabella 2. Proprietà dei più comuni disinfettanti.

(1) sopra 40°C.

(2) sopra 20°C.