![](imma/fdr_rbio.jpg) I laboratori di analisi possono essere luoghi
ad alto rischio infettivo per gli operatori. Tuttavia, anche se nei
laboratori di microbiologia (deputati alla diagnosi batteriologica o
virologica di malattie infettive) vengono convogliati materiali patologici
frequentemente infetti, i laboratori a rischio più elevato sono (o meglio
erano) quelli di ematologia o di analisi chimico-cliniche. Questo
apparente paradosso è dovuto al fatto che il microbiologo è conscio che
qualunque materiale biologico su cui opera è potenzialmente patogeno.
Inoltre il microbiologo lavora in sterilità (il che non si verifica negli
altri tipi di laboratori) e le modalità operative comportano un'estrema
attenzione anche al fine di non contaminare il materiale in esame per non
alterarne il valore diagnostico.
Negli ultimi anni, con le migliorate conoscenze sui processi di
diffusione dei virus dell'epatite B e dell'AIDS, le probabilità di
contrarre infezioni in laboratorio sono diminuite in quanto l'operatore
pone maggiore attenzione alla manipolazione dei campioni rispetto al
passato. Tale evenienza è tuttavia sempre possibile, anche se spesso è
difficile documentare che tali infezioni siano realmente legate a questa
pratica lavorativa. Il rapporto di causalità è documentabile con relativa
certezza solo in quei casi in cui l'agente eziologico circola raramente.
In Francia, ad esempio, viene considerata malattia professionale una
polmonite pneumococcica insorta in un laboratorista che, per ragioni
lavorative, nelle due settimane precedenti l'insorgenza della malattia
abbia avuto contatti con tale microrganismo.
Nelle infezioni contratte in laboratorio, a volte, le vie di penetrazione
dell'agente patogeno sono diverse da quelle naturali. È noto infatti che
la popolazione può contrarre la brucellosi per ingestione di alimenti
contaminati. Nei laboratoristi (così come nei veterinari), il germe
penetra viceversa per via transcutanea, attraverso irrilevanti soluzioni
di continuità della cute o addirittura la cute integra. I microrganismi
possono penetrare nell'organismo dell'operatore sanitario per via
digestiva, come nel caso di ingestione accidentale di batteri. È questo
il caso dei microrganismi responsabili dell’ileotifo o delle salmonellosi
(anche se le cariche microbiche infettanti, cioè le quantità di batteri
indispensabili per superare le barriere difensive dell'organismo, sono
relativamente alte, nell'ordine di 105-109 microrganismi). Questa
modalità di trasmissione è legata spesso, specialmente nei piccoli
laboratori, alla conservazione di bevande o alimenti nei frigoriferi dei
laboratori stessi o alla consumazione di cibi e bevande o al fumare nei
locali di lavoro. La terza modalità di trasmissione è l'inalazione. In
molte pratiche di laboratorio si producono degli aerosol come conseguenza
dell'uso improprio dell'ansa. Un'ansa troppo lunga o con un occhiello
troppo grande, in certe manovre, tende a disperdere nell'ambiente piccole
goccioline contaminate da batteri. Anche un flambaggio non corretto può
comportare lo stesso fenomeno. Il germe più frequentemente responsabile
di eventi infettivi a seguito delle suddette manovre è sicuramente il
Mycobacterium tuberculosis in quanto, come è noto, questo germe dà
origine a colonie secche che facilmente si disperdono nell'aria degli
ambienti di analisi se non si usano idonei accorgimenti, quali l'utilizzo
di apposite camere di sterilizzazione per l'ansa. La quarta e ultima
modalità di infezione è l'inoculazione accidentale. Questo evento è la
conseguenza di incidenti come la puntura di aghi o altri oggetti
taglienti quali bisturi o vetreria rotta ed è responsabile di numerose
malattie infettive, sia batteriche (quali ad esempio brucellosi,
difterite, sifilide) che virali (epatite B e C, AIDS, mononucleosi
infettiva ed altre ancora).
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