Radiofrequenze e microonde


Sono radiazioni non ionizzanti con frequenza compresa tra 100 KHz e 300 GHz; fino a 300 MHz le radiazioni sono definite microonde, oltre tale limite radiofrequenze.
Numerosi sono gli impieghi in ambito sanitario di queste radiazioni. La diatermia cioè il riscaldamento di tessuti superficiali sfruttando l'effetto termico delle radiofrequenze (marconiterapia) o delle microonde (radarterapia) è sicuramente l'impiego più comune.
La marconiterapia è utilizzata soprattutto in fisioterapia per il trattamento di forme morbose a carico delle ossa e dei muscoli, del tipo artropatie, miositi, nevralgie, ecc. La parte da trattare (polso, ginocchio, collo, gomito, ecc.) viene introdotta in un campo elettromagnetico variabile che, interagendo con i tessuti, produce un rialzo della temperatura locale tramite fenomeni di dissipazione termica.
La radarterapia è anch'essa utilizzata in fisioterapia per riscaldare i tessuti biologici esposti ad un campo elettromagnetico con frequenze del tipo microonde.
Ulteriori usi sanitari delle radiofrequenze sono l'ipertermia, impiegata come coadiuvante in alcuni protocolli terapeutici dei tumori e nel riscaldamento rapido di sangue e tessuti in occasione di trapianti d'organo.
Infine le radiofrequenze vengono impiegate nella diagnostica per immagini (la risonanza magnetica nucleare impiega radiofrequenze di particolare frequenza in campi magnetici statici). Infatti la risonanza magnetica nucleare (RMN) è una metodica che consente di ottenere informazioni bi e tridimensionali di varie sezioni del corpo attraverso l'impiego di radiazioni non ionizzanti. Inoltre le immagini presentano un evidente contrasto dei tessuti molli con la conseguente possibilità di avere una serie di informazioni sulle condizioni di svariati organi.
La RMN risulta pertanto particolarmente indicata per la diagnosi di:
• patologie endocraniche (malformazioni, processi demineralizzanti, patologie vascolari, neoplasie, ecc.);
• patologie a carico della colonna vertebrale e del midollo spinale (ernia del disco, traumi, neoplasie, ecc.);
• patologie a carico del fegato, del rene, dell'apparato cardiovascolare e del mediastino.
Ai fini della realizzazione delle immagini, un tomografo a risonanza magnetica utilizza:
• un campo magnetico statico;
• un campo magnetico variabile nello spazio e nel tempo;
• un generatore a radiofrequenze.
Il campo magnetico statico viene prodotto utilizzando diversi tipi di magneti (resistivi, permanenti, superconduttori); negli apparecchi di ultima generazione, la maggior parte dei magneti utilizzati è del tipo a superconduttore che consentono di raggiungere campi di valore superiore rispetto ai precedenti; il loro impiego comporta tuttavia la necessità di provvedere ad adeguati impianti di raffreddamento e di idonea dissipazione dell'enorme energia immagazzinata in caso di spegnimento.

Si ritiene che uno dei principali fattori che condiziona la comparsa degli effetti biologici sia l'estensione e la distribuzione dell'energia assorbita delle radiofrequenze e delle microonde; l'assorbimento di tali radiazioni dipende dalla loro frequenza (massima tra 60 e 100 MHz), dalla forma, dimensioni e caratteristiche dielettriche del corpo irradiato. Le microonde vengono assorbite superficialmente mentre le frequenze più basse (onde radio) vengono assorbite dagli strati più profondi.
I principali effetti biologici dipendono dal loro effetto termico e interessano il cristallino e le gonadi maschili.
A carico del cristallino si può osservare cataratta con localizzazione posteriore.
Le alterazioni gonadiche, che possono provocare anche sterilità, peraltro reversibile e su cui non tutti gli Autori concordano, sono caratterizzate da anomalie dell'epitelio seminale e della spermiogenesi, che si riflettono nella diminuzione di numero e nella ridotta motilità degli spermatozoi.
Tra gli effetti non termici si ricorda la sindrome neurastenica caratterizzata da debolezza, stancabilità, insonnia, bradicardia, ipotensione.
Sono stati anche descritti effetti sul sistema emopoietico (riduzione del numero degli eritrociti, tendenza alla linfocitosi e all'eosinofilia) e su quello endocrino (interferenza sulla funzionalità tiroidea, ipofisaria e surrenali). Non è ancora stata dimostrata con certezza l'azione teratogena e cancerogena ipotizzata in passato.
Infine va ricordata la capacità delle radiofrequenze e delle microonde di interferire sul funzionamento dei pacemaker cardiaci.
Per quanto riguarda l'impiego di apparecchiature RMN vanno anche menzionati i rischi relativi a:
• interferenza tra magnete e materiali metallici eventualmente posti all'interno dell'organismo;
• interferenza tra magnete e oggetti ferromagnetici eventualmente presenti nell'ambiente.
Oggetti metallici tipo clips chirurgiche, valvole cardiache costruite prima del 1964 (da allora le valvole vengono realizzate con materiale non ferromagnetico), impianti ortopedici, impianti cocleari, corpi estranei (ad esempio presenza di schegge metalliche negli occhi), sono sottoposti ad uno spostamento da parte del magnete (proporzionale alla forza del campo) che può essere responsabile di torsioni e compressioni tissutali in grado di determinare conseguenze dannose come rotture vasali da torsione di clips chirurgiche intracraniche usate per il clampaggio di aneurismi.
Il campo magnetico esercita una forza anche sugli oggetti eventualmente presenti nell'ambiente, forza che decresce con il progressivo allontanamento dal magnete. Per questo motivo oggetti metallici come forbici, bisturi, cacciaviti, ecc., posti nelle vicinanze del campo vengono attratti verso il centro del magnete comportandosi come dei proiettili in grado di creare incidenti sia nei pazienti che nel personale.
Un altro rischio sia per i pazienti che per il personale è rappresentato dallo spegnimento accidentale del magnete che è di solito raffreddato con elio liquido; l'elio gassoso, a temperatura ambiente, occupa 700 volte il volume dello stesso peso di elio liquido. Uno spegnimento accidentale può pertanto causare delle forti differenze di volume tra fase liquida e fase gassosa e perciò il contenitore dei criogeni deve essere sufficientemente robusto per contenere l'aumento di pressione; inoltre l'ambiente deve essere dotato di un adeguato ventilazione che consenta la rapida espulsione del gas in caso di fuoriuscita e permetta così di evitare il rischio di asfissia.




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