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  rischi biologici

 
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Le precauzioni universali per la prevenzione
stima del rischio
Prescrizioni minime per le manovre invasive
Rischi biologici nei laboratori di analisi
Follow-up post esposizione
Misure relative alla raccolta e al successivo smaltimento dei rifiuti
Mycobacterium tuberculosis
Virus B dell'epatite
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Qual è il problema?

Negli ultimi anni è notevolmente cresciuta tra gli operatori sanitari la preoccupazione per il rischio di contrarre una malattia infettiva a causa della propria attività lavorativa; su questo atteggiamento ha sicuramente influito la comparsa sulla scena mondiale dell’epidemia di AIDS, che ha destato non poco allarme anche in questo settore.
In realtà l’esperienza accumulata in questi anni consente di affermare con relativa tranquillità che il pericolo rappresentato dall’AIDS per gli operatori sanitari è stato probabilmente sovrastimato in passato.
Negli stessi anni, però, l’introduzione di una valida vaccinazione contro l’epatite B ha forse indotto qualcuno ad un eccesso di ottimismo nei confronti di una malattia che in passato ha fatto pagare un pesante tributo agli operatori sanitari e che, verosimilmente, non sarà così facile debellare. A completare il quadro di luci ed ombre, sempre più vanno crescendo le preoccupazioni per l’epatite C, malattia ancora per molti versi sfuggente ma certamente da considerare con estrema serietà. La recrudescenza della tubercolosi e la comparsa di micobatteri resistenti a diversi chemioterapici, infine, rinnovano antiche paure forse mai del tutto dissolte.
Questa scheda è dedicata all’AIDS, alle epatiti B e C, ed alla tubercolosi; non perché queste siano le uniche infezioni professionali possibili per gli operatori sanitari, ma perché sono quelle che a nostro avviso rivestono un maggior interesse pratico e per le quali gli organismi nazionali ed internazionali che si occupano di prevenzione hanno suggerito specifiche indicazioni operative. Sporadici casi di altre malattie infettive contratte sul lavoro dagli operatori sanitari vengono di tanto in tanto segnalati, ma per prevenirli ci si limita di solito a raccomandare il rigoroso rispetto della buona pratica d’igiene ospedaliera e di laboratorio.
Ma qual è la reale portata del rischio che corrono oggi gli operatori sanitari del nostro paese di contrarre l’epatite B, l’epatite C, l’AIDS, la tubercolosi a causa del loro lavoro?
Modesta per l’epatite B e l’AIDS; un po’ più consistente, per l’epatite C e la tubercolosi. Ribadiamo la necessità di considerare i valori sopra forniti solo come orientativi, sia perché le stime su cui si basano non sono sempre particolarmente robuste, sia perché la diffusione dei soggetti portatori dell’HBV, dell’HCV e dell’HIV varia da una zona all’altra del paese, non è costante nel tempo, può essere più elevata nei pazienti ospedalizzati ed in particolare in quelli ricoverati in determinati reparti. Inoltre si ricorda di sfuggita che, come non tutte le esposizioni danno infezione, così non a tutte le infezioni segue necessariamente la malattia.
I tentativi compiuti per stimare l’entità del rischio di tubercolosi si fondano su calcoli di estrema complessità ed hanno finora dato risultati piuttosto aleatori; in buona sostanza possiamo affermare che nel nostro paese la tubercolosi contratta dagli operatori sanitari verosimilmente a seguito di esposizione professionale pur non essendo un’evenienza frequente non può nemmeno dirsi eccezionale.
E’ legittimo chiedersi, a questo punto, come mai ci si preoccupi tanto di rischi che paiono essere molto piccoli. A questa domanda c’è più di una valida risposta: la prima, e forse la più importante è che se i rischi sono piccoli, le malattie che comunque ne possono seguire sono tutte decisamente serie, sia nelle loro manifestazioni immediate, sia nelle conseguenze a distanza nel tempo. Nel caso dell’AIDS, poi, ci si trova davanti ad una malattia fino ad oggi ancora ad esito prevalentemente infausto. In secondo luogo occorre ricordare, accanto ai danni fisici, le importanti ripercussioni psicologiche che anche il solo sospetto di poter sviluppare una di queste infezioni determina non soltanto nei diretti interessati, ma anche nei loro colleghi di lavoro, negli amici, nei familiari.  Infine le  misure che verranno suggerite più avanti in questa monografia hanno un’efficacia anche nei confronti di molti altri microorganismi oltre a quelli di cui qui ci si occupa.

Chi interessa?

Il rischio di epatite B, epatite C ed AIDS deve essere preso in considerazione per la quasi totalità degli operatori sanitari a diretto contatto con i pazienti.
Ciò dipende dal combinarsi di due fattori: è di fondamentale importanza pratica considerare tutti i pazienti potenzialmente infettanti, perché la ricerca di quelli che lo sono davvero è più facile da affermare che da praticare e, quando si cerca di attuarla, risulta estremamente inaffidabile esponendo così gli operatori sanitari a rischi inaccettabili; il più comune veicolo dell’infezione per queste tre malattie è rappresentato dal sangue, e la possibilità di venire a contatto col sangue dei pazienti riguarda una svariatissima gamma di attività sanitarie.
Il rischio di tubercolosi è invece più circoscritto perché l’obiettivo di identificare i pazienti potenzialmente infettanti è praticabile, tanto che proprio da qui prendono avvio le misure preventive a tutela degli operatori sanitari.
I pazienti potenzialmente infettanti sono riconoscibili perché buona parte di essi accede alle strutture sanitarie per curare la tubercolosi (o l’AIDS) o, pur accedendo alle strutture sanitarie per ragioni differenti, presenta una sintomatologia che unitamente ad altri indizi (età, area di provenienza, immunodepressione ecc.) induce a sospettare la tubercolosi.

Da cosa dipende?

Si è già ricordato che l’esposizione professionale all’HBV, HCV e HIV deriva nella gran maggioranza dei casi dal contatto col sangue dei pazienti.
Anche altri liquidi e materiali biologici sono però in grado di trasmettere questi virus (vedi tabella 1) ed anch’essi vanno pertanto trattati con le stesse precauzioni che saranno suggerite per il sangue.


 

Tabella 1 - Liquidi e materiali biologici che possono contenere l’HBV, l’HCV e l’HIV a concentrazioni infettanti

Sempre

Solo se contaminati da sangue in maniera visibile
 


Liquido cerebro-spinale

Liquido sinoviale

Liquido peritoneale

Liquido pleurico

Liquido pericardico

Liquido amniotico

Latte

Sperma

Secrezioni vaginali

Tessuti solidi (biopsie, pezzi chirurgici)



Feci

Urine

Lacrime

Vomito

Sudore


La possibilità di infettarsi dipende fondamentalmente dall’interazione tra due elementi:

  • la suscettibilità del singolo operatore, che può essere protetto dalle difese immunitarie aspecifiche o dall’immunità specifica naturale o acquisita (quest’ultima riguarda solo l’epatite B);
  • l’entità dell’esposizione, che dipende non solo dal liquido o dal materiale biologico con cui si viene a contatto ma anche da altri fattori; alcuni tra i più rilevanti sono riportati in tabella 2.


Tabella 2 - Fattori che aumentano il rischio d’infezione a seguito di un’esposizione professionale
 

Ferita o lesione profonda, spontaneamente sanguinante

Puntura con ago cavo utilizzato in un vaso del paziente

Presenza di sangue in quantità visibile sullo strumento con cui ci si punge o taglia

Contaminazione congiuntivale massiva



Ovviamente, quanto più numerose sono le occasioni in cui si può venire a contatto col sangue dei pazienti o con altri liquidi o materiali biologici potenzialmente infettanti, tanto maggiore è il rischio d’infezione (vedi tabella 3).



Tabella 3 - Esempi di possibili occasioni di contatto col sangue dei pazienti o con altri liquidi o materiali potenzialmente infettanti
 

Attività di pronto soccorso

Attività chirurgica

Medicazione di ferite chirurgiche

Prelievi di sangue

Indagini invasive (toracentesi, paracentesi, artrocentesi, etc.)

Emodialisi

Diagnostica di laboratorio

Cure odontoiatriche


L’esame della tabella, peraltro non esaustiva, è d’aiuto nell’identificare i reparti ospedalieri e le attività sanitarie che si svolgono al di fuori dell’ospedale che presentano i rischi più elevati per gli operatori di contrarre un’infezione da HBV, HCV o HIV.
Anche l’esame degli incidenti che si verificano in ospedale fornisce utili informazioni in proposito: le punture accidentali da ago e le lesioni per contatto con strumenti taglienti o pungenti costituiscono la più comune causa di contatto col sangue dei pazienti. A questo proposito ricordiamo, non senza una certa meraviglia, che un numero per nulla trascurabile di punture accidentali è causato da manovre ormai da tempo unanimemente sconsigliate, quali il reincappucciamento degli aghi dopo il loro impiego.
Di rilievo risultano anche le esposizioni attraverso la cute. Se è vero che la cute integra impedisce il passaggio dei virus, solo di rado la cute risulta del tutto integra; microlesioni, specialmente a livello del letto ungueale, sono infatti estremamente comuni. Se poi sono presenti più ampie soluzioni di continuità o lesioni essudative il passaggio dei virus attraverso la cute risulta ancor più facile.
Grande attenzione va posta anche alle manovre che possono produrre schizzi di sangue (chirurgia vasale o su zone riccamente vascolarizzate, prelievi arteriosi, punture esplorative, etc.), per il possibile imbrattamento delle mucose oculari, orali o nasali, che rappresentano una possibile porta d’entrata per l’HBV, l’HCV e l’HIV.
L’esposizione professionale al micobatterio della tubercolosi avviene invece per via aerea: i pazienti che presentano lesioni tubercolari comunicanti con l’esterno emettono parlando, e assai di più starnutendo o tossendo, una grande quantità di micobatteri che si disperdono in aria.
L’effettiva suscettibilità degli operatori sanitari è difficile da stabilire per la grande complessità che hanno gli aspetti immunologici della tubercolosi; a tale proposito occorre tenere presente che la vaccinazione antitubercolare, soprattutto negli adulti, non è sempre capace di offrire un adeguato grado di protezione.


Come lo si affronta?

Le strategie per affrontare da un lato il rischio professionale di epatite B, C ed AIDS e dall’altro quello di tubercolosi seguono, come si è già avuto modo di accennare, due opposte strade.


Epatite B e C, AIDS - Le precauzioni universali

Per ridurre quanto più possibile il rischio professionale di epatite B, C e di AIDS esiste un insieme di misure da adottare sempre, vale a dire nel corso dell’assistenza di tutti i pazienti che vanno sempre considerati potenzialmente infetti, anche quando risultano sieronegativi. Per questa ragione si parla di "precauzioni universali", il cui obiettivo ideale è impedire sempre il contatto tra operatori sanitari e sangue o altri liquidi o materiali biologici potenzialmente infetti (vedi tabella 1).
Elaborate in origine dal più autorevole centro mondiale di sorveglianza delle malattie infettive, i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta, sono state progressivamente adottate da un gran numero di paesi, compresa l’Italia, come linee-guida per la prevenzione delle infezioni professionali da HBV, HCV ed HIV.
All’opposto, le misure da adottare contro il rischio professionale di tubercolosi scattano a partire dall’identificazione dei pazienti potenzialmente infettanti; perché risultino efficaci è perciò indispensabile che tale identificazione sia la più precoce possibile.


Epatite B e C, AIDS - Le procedure particolari

Per dare concretezza alle misure di prevenzione delle infezioni da HBV, HCV ed HIV, i principi enunciati dalle precauzioni universali vanno calati nella realtà estremamente eterogenea delle concrete e differenti attività sanitarie.
Altro è infatti definire i comportamenti sicuri da adottare in sala operatoria, altro in dialisi, altro nell’assistenza domiciliare e così via.
E’ quindi fortemente consigliata l’adozione di protocolli e linee guida in cui per ciascun tipo di attività si individuano le specifiche misure di prevenzione e protezione utili ad impedire le infezioni da HBV, HCV ed HIV.
Questi strumenti, oltre a garantire buone prestazioni ai pazienti, possono essere elaborati anche in vista della massima tutela possibile degli operatori nei confronti dei rischi professionali. Al tempo stesso, la loro elaborazione e la loro presentazione agli operatori sanitari costituiscono formidabili occasioni di aggiornamento professionale e di informazione e formazione sui rischi lavorativi.


Epatite B e C, AIDS - La vaccinazione

Mentre non esiste ancora la possibilità di vaccinarsi contro l’AIDS e l’epatite C, è invece disponibile ormai da diversi anni un vaccino contro l’epatite B che possiede soddisfacenti caratteristiche di efficacia e di sicurezza. Gli operatori sanitari rientrano tra le categorie di persone per le quali la vaccinazione è raccomandata.
La vaccinazione ha oggi un ruolo di primaria importanza per la prevenzione dell’epatite B ed è quindi bene valutare l’immunità specifica nei confronti dell’HBV di ogni persona che inizia la sua attività in una struttura sanitaria e, in difetto, proporre la vaccinazione seguendo le procedure basate sul consenso informato. Come per ogni altra vaccinazione, occorre rispettare il programma vaccinale e tenere le registrazioni del caso.
Gli operatori sanitari, anche quando sono vaccinati devono comunque adottare tutte le restanti precauzioni, perché le modalità con cui si trasmette in ambito professionale l’epatite B sono esattamente le stesse dell’epatite C e dell’AIDS.  



Cosa fare in caso di incidente

Si è già avuto modo di accennare ad alcuni tipici incidenti, spesso di modestissimo rilievo se in sé considerati, a seguito dei quali vi può essere esposizione ai virus dell’epatite B e C e dell’AIDS (punture accidentali, piccoli tagli con bisturi, caduta di gocce di sangue sul letto ungueale, schizzi di sangue negli occhi, etc.).
Si raccomanda di non sottovalutare mai queste evenienze, ma di trattarle invece sempre col massimo scrupolo attenendosi alle indicazioni che si forniscono di seguito.
Se vi è stata lesione, occorre favorire il sanguinamento, lavare abbondantemente con acqua e solo a questo punto, se necessario, disinfettare la parte (ad esempio con Betadine); se invece vi è stato imbrattamento della cute o delle mucose è sufficiente un abbondante lavaggio con acqua.
Negli ambienti e nelle attività in cui è probabile il prodursi di schizzi di sangue è bene avere a disposizione gli appositi dispositivi lavaocchi. Il lavaggio oculare (con soluzione fisiologica o semplice acqua) va eseguito tenendo ben divaricate le palpebre; subito dopo il primo intervento occorre recarsi in pronto soccorso se la lesione subita lo richiede; ogni incidente che ha comportato esposizione a sangue dei pazienti o ad altri liquidi o materiali biologici potenzialmente infetti va segnalato alla struttura incaricata di registrare questo genere di eventi (direzione sanitaria, servizio di prevenzione e protezione, etc.).
La denuncia all’INAIL di ogni incidente di questo tipo è un’importante misura di tutela assicurativa del lavoratore.
Un’accurata registrazione degli incidenti e delle modalità con cui sono avvenuti consente di raccogliere indicazioni di estrema utilità per la prevenzione di ulteriori incidenti; per decidere in maniera appropriata se praticare o no al lavoratore infortunato l’immuno o la chemioprofilassi (oltre che per implicazioni di natura medico legale ed assicurativa) è necessario accertare quanto prima se il paziente con il cui sangue si è venuti a contatto è portatore dell’HBV, HCV o HIV. L’immunoprofilassi specifica è disponibile solo per l’HBV ed è ovviamente riservata ai soli lavoratori che non hanno già un’adeguata copertura immunitaria, mentre la chemioprofilassi riguarda solo l’infezione da HIV.
La valutazione sull’opportunità di praticare l’immuno o la chemioprofilassi deve essere condotta da un medico specialista (epatologo, infettivologo, etc.) che, se la ritiene utile, propone l’opportuna profilassi al lavoratore interessato cui spetta la scelta definitiva.
L’immunoprofilassi contro l’infezione da HBV ed ancor più la chemioprofilassi contro l’infezione da HIV vanno iniziate, quando necessarie, il più tempestivamente possibile, entro poche ore dal momento in cui è avvenuto l’incidente; dopo l’incidente il lavoratore va controllato periodicamente per osservare l’eventuale comparsa di anticorpi assenti al momento dell’incidente. Se vi è stata infezione, gli anticorpi compaiono in genere nel giro di poche settimane (sei-otto); per prudenza è comunque consigliabile prolungare la loro ricerca per almeno sei mesi.


Tubercolosi

Le misure tendenti a minimizzare il rischio degli operatori sanitari di contrarre la tubercolosi a causa del loro lavoro richiedono come presupposto l’identificazione più precoce possibile dei pazienti con lesioni comunicanti all’esterno. Una volta identificati vanno adottate le seguenti misure:

  • i pazienti vanno ospitati in isolamento, possibilmente in stanze individuali;
  • le stanze di isolamento devono avere un impianto di ventilazione forzata che garantisca almeno sei ricambi d’aria all’ora;
  • devono essere mantenute in leggera depressione rispetto agli ambienti circostanti per fare in modo che l’aria possa andare da essi alle stanze di isolamento e non viceversa;
  • l’aria espulsa deve essere indirizzata all’esterno dell’edificio dopo essere stata filtrata;
  • le procedure assistenziali devono consentire a medici ed infermieri di limitare allo stretto indispensabile la loro presenza all’interno delle stanze di isolamento e, quando non è necessario, di evitare di stare in prossimità del malato;
  • il malato deve essere informato sull’opportunità di coprirsi la bocca con apposita mascherina ogni volta che qualcuno entra nella sua stanza;
  • le persone che entrano in una stanza di isolamento devono coprirsi bocca e naso con appropriati dispositivi individuali di protezione.

Le comuni mascherine chirurgiche, piane o sagomate che siano, non proteggono efficacemente.
In genere si consigliano almeno maschere cosiddette di livello FFP2SL (hanno tre strati filtranti e resistono all’azione di aerosol e nebbie a base acquosa) da indossare durante la maggior parte delle attività assistenziali e maschere ancora più efficaci, cosiddette di livello FFP3SL (con cinque strati filtranti e anch’esse resistenti all’azione di aerosol e nebbie a base acquosa) quando si induce espettorazione con colpi di tosse o si eseguono broncoscopie.
La vaccinazione antitubercolare è obbligatoria per il personale sanitario cutinegativo alla Mantoux ma, come si è già ricordato, sussistono fondati dubbi sull’efficacia del vaccino e pertanto anche il personale vaccinato deve attenersi alle indicazioni sopra riportate.
Il personale che si occupa di routine di malati di tubercolosi va sottoposto a sorveglianza sanitaria per cogliere quanto più precocemente possibile un’eventuale infezione tubercolare. Specifici protocolli diagnostici sono disponibili e vanno attuati quando si sospetta che, per una ragione qualsiasi, possa esserci stato un contatto con un paziente affetto da tubercolosi con lesioni aperte senza che siano state adottate le precauzioni fin qui indicate.


La sorveglianza sanitaria

La sorveglianza sanitaria per quanto riguarda l’esposizione ad agenti biologici è resa obbligatoria  dal D. Lgs 626, nei casi di esposizione agli agenti biologici dei quali si è trattato in questo capitolo deve sostanzialmente basarsi su due elementi: l’esecuzione delle vaccinazioni secondo quanto previsto dai calendari vaccinali; la gestione del follow-up e della eventuale profilassi post esposizione.  



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